L’amaro rinasce tra nuovi gusti e nuovi consumatori

Guai fare l’errore di pensare che sia démodé oppure che abbia il semplice ruolo di digestivo. Per l’amaro è arrivato, infatti, il tempo della rivincita.

Parlare di amaro, in fondo, significa parlare d’Italia perché questo liquore, arricchito delle più diverse specie botaniche, sembra essere stato “lanciato” dalla scuola medica salernitana per poi propagarsi nelle centinaia di monasteri sparsi lungo tutta la penisola.

La nascita dei marchi iconici degli amari italiani

L’industrializzazione avvenuta in Italia a metà dell‘800 accelera l’avvio di una produzione commerciale solida. Nel 1848, in via Canonica 86, nei pressi del Teatro La Scala di Milano, un farmacista bolognese apre un bar: il suo nome è Ausano Ramazzotti e, per la prima volta nella storia, servirà un drink senza la minima presenza di vino, l’Amaro Ramazzotti.

Non è però il primo amaro di Milano perché qualche anno prima, nel 1845, viene depositata la ricetta di un infuso con fiori, foglie, radici e fusti ideato da Bernardino Branca che nel 1862 avvia la produzione del Fernet-Branca.

Poco tempo dopo, a seguito di un viaggio in tutta Europa di Stanislao Cobianchi, quest’ultimo mette in commercio il suo elisir, dedicato alla principessa Elena del Montenegro. Nasce così l’Amaro Montenegro che vivrà una stagione d’oro nel 1921 grazie alle bevute di Gabriele D’Annunzio in compagnia degli intellettuali del tempo.

digestivi

E al Sud, da dove è partito tutto?

I meridionali hanno avuto dei “problemi” sul tema a causa della domanda e dell’offerta. Praticamente in ogni casa, da Roma in giù, si produceva liquore e questo rendeva il mercato saturo ancora prima della nascita del mercato vero e proprio. Ciò nonostante, ancora oggi, tre dei marchi più famosi d’Europa sono stati fondati al Sud.

Il primo è di Caltanissetta, in Sicilia. Si tratta di una storia d’amicizia e gratitudine: una sera di metà Ottocento frà Girolamo, un frate dell’Ordine dei Cappuccini, fa chiamare d’urgenza al proprio capezzale Salvatore Averna, uomo devoto e vicino all’Ordine con le sue donazioni dei tessuti per le tuniche dei frati. Il povero Girolamo, prima di morire vuole omaggiare l’amico consegnandogli una ricetta antica, un elisir fatto solo con erbe siciliane, che da secoli i frati preparano per alleviare i dolori delle febbri.
Salvatore Averna custodisce per anni questa ricetta, producendo l’elisir per la famiglia o per donarlo agli amici. La produzione, alla morte di Salvatore e dei figli, è ancora molto limitata: Francesco, l’ultimo erede della famiglia, nel 1895 viene invitato al palazzo reale di Roma da Umberto I. Non è chiaro come, ma il re è entrato in possesso di una bottiglia di Amaro Averna e, innamoratosene, rende Francesco Averna fornitore ufficiale della Real Casa. Quella della famiglia Averna è una storia fondamentale per tutta Italia perché nel 1923 Francesco muore e alla guida dell’azienda gli succede Anna Maria Ceresia Averna, sua moglie, che diventa la prima imprenditrice nella storia del Regno d’Italia e, successivamente, vero personaggio del jet set italiano.

Risalendo la regione e tornando indietro negli anni ci fermiamo a Catania dove troviamo Giuseppe Caffo, il più importante distillatore della Sicilia. La sua azienda è florida, regina incontrastata del mercato, ma la sua passione sono gli infusi. Nel 1915 l’azienda invade il mercato con il Vecchio Amaro del Capo e, ci ha visto davvero lungo, dal momento che oggi l’azienda ha un fatturato di 83 milioni e ha saputo trasformare il suo prodotto, da specialità regionale a leader nazionale del segmento con una quota (Gdo più Horeca) del 33% ed introducendo una nuova  modalità di consumo del prodotto: “ghiacciata”.

Infine, un amaro diventato linguaggio comune. La risposta alla domanda “Cosa vuoi di più dalla vita?” è scontata per tutti gli italiani. L’invenzione dell’Amaro Lucano risale al 1894 ad opera di Pasquale Vena, proprietario dell’omonimo biscottificio nel paese di Pisticci, in provincia di Matera, e pasticciere che produceva già l’amaro mescolando diverse erbe officinali. Se notate bene, sull’etichetta del Lucano c’è lo stemma dei Savoia: questo perché Vittorio Emanuele III, succeduto a Umberto I dopo il suo assassinio, cambia la fornitura ufficiale degli amari, passando dall’Averna al Lucano.

Al fianco degli storici prodotti, si sono recentemente aggiunti nuovi amari e nuove tipologie di consumatori. Addirittura c’è chi ha creato un amaro con base birra, come ad esempio ha fatto il birrificio trevigiano 32 Via dei Birrai con “Ambedue” usando una birra ambrata arricchita con genziana, anice stellato, assenzio.

La rinascita dell’amaro è comunque legata alle nuove modalità di consumo. Da un lato i barman di tutto il mondo si sono messi a utilizzarli come base di ricette classiche o nuove elaborazioni, dall’altro i consumatori, soprattutto le nuove generazioni, si sono resi conto che esiste un amaro per ogni palato. Il consumo, infatti, è molto diffuso: il 59% della popolazione 18-73 anni li ha consumati in almeno un’occasione negli ultimi 12 mesi. Il consumo è maggiore tra gli uomini (62%), tra i Baby Boomers (66%) e tra chi risiede nel Centro Italia. Sono i risultati dei primi dati della survey sui consumi di spiriti in Italia del nuovo Osservatorio elaborato da Nomisma.

E nel mondo cooperativo?

Abbiamo scelto per voi l’Amaro delle Rocce della Cantina di Rauscedo, tipico della tradizione friulana. Morbido, delicato e dalle note balsamiche, ricorda piacevoli sensazioni di erbe alpine. Ideale per un brindisi estivo.

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