In quarantena, gran parte degli italiani si è cimentata nella preparazione di pane, pizza e dolci. Chi per riscoprire il piacere dei sapori da forno più autentici, chi per far passare più velocemente il tempo e sconfiggere la noia.
Per l’acquisto della farina, è sicuramente molto importante scegliere i mulini di fiducia, quelli, ad esempio, che effettuano una corretta lavatura del grano prima di macinarlo, fondamentale per questioni di sicurezza alimentare. La scelta della farina giusta può infatti rivelarsi un’arma vincente per l’aspirante panificatore e il successo dei suoi lievitati.
Lo spiega bene Laura Lazzaroni, direttore di FoodeWine Italia e autrice del libro Altri grani, altri pani (Guido Tommasi): «La prima distinzione da fare è tra grano duro e grano tenero. Le confezioni di farina di grano tenero, per legge, devono specificare la percentuale delle cosiddette ‘ceneri’». Da qui i famosi tipo 00, 0,1, 2 e integrale che si riferiscono alla molitura del chicco intero o meno, e al grado di abburattamento, la setacciatura che elimina crusca e cruschello in misura minore o maggiore. «Poi vi è il metodo di macinatura del grano. La migliore macinatura per me è quella a pietra naturale, in quanto è un processo che scalda meno il chicco e mantiene le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del frumento». Vi è anche la molitura a cilindri, ma molto più lenta e fatta ad arte. «Altro dato rilevante per scegliere la farina giusta, è la cosiddetta forza, contrassegnata con la W, che però non si trova quasi mai indicata sui pacchi in commercio». L’esperta spiega inoltre che per panificare, tra i teneri, è meglio scegliere una 1 o una 2, un compromesso perfetto tra performance (si impasta bene, assorbe acqua) e sapore. Sconsiglia la 0 che invece è ottima per tagliare farine più difficili. Tra i duri, suggerisce una semola rimacinata.
Che cos’è iI fattore W?
È il grado di forza della farina e dipende dalla quantità di glutine che contiene. II glutine migliora la capacità della farina di assorbire liquidi nell’impasto e di trattenere l’anidride carbonica che si sviluppa durante la lievitazione, dando vita così a panificati voluminosi e con mollica ben sviluppata. Una farina con poco glutine, invece, assorbe poca acqua e trattiene meno gas, e la mollica risulta meno alveolata e soffice.
È importante scegliere la farina con la forza adeguata al prodotto da realizzare: per i panettoni, ad esempio, serve una farina con un alto valore W, mentre per i grissini o i biscotti sono preferibili le deboli. Se la farina riporta sulla confezione l’indice di forza W, ci si può regolare tenendo conto che una farina si definisce forte se è sopra i 300 W, debole sotto i 200.
Il caso dei grani antichi
«Meglio dire ‘vecchie varietà’». Puntualizza la Lazzaroni. «Si tratta di tipologie di grano che fanno parte della nostra bellissima storia contadina, ora riscoperte e molto amate dai panificatori più attenti alla ricerca. Sono un nostro fiore all’occhiello: nessuno come l’Italia ha una varietà così ampia di questi grani. Si tratta di grani complicati da coltivare, per questo le coltivazioni sono state abbandonate. E poi le farine che danno sono difficili da usare. Il futuro, a mio avviso, sono i miscugli evolutivi, cioè un miscuglio che si fa in campo tra grani di molte varietà diverse, spesso vecchie e moderne. Esprimono il meglio delle due tipologie: ricchezza di aromi e facilità nella coltivazione. Danno ottime performance in situazioni ambientali complicate».
Chicchi del passato e falsi cereali
- Farro. È il progenitore di tutti i grani. La farina è profumata, elegante, ma è difficile da usare da solo. Meglio mischiarlo con il grano tenero.
- Grano saraceno. Non è una graminacea e neanche un cereale. Ottima per pizzoccheri e polenta può essere usata in moderate percentuali nel pane.
- Segale. Appartiene alla famiglia delle graminacee. Forte aromaticità e delicata acidità se aggiunto in piccola percentuale alle altre farine.
- Kamut. È una particolare “linea” di grano duro turanico (o grano Khorasan). II nome è un marchio registrato.
- Avena. Anche questa farina si utilizza in aggiunta a grani teneri o duri. Offre vantaggi dal punto di vista nutrizionale ed è ricca di fibra.
- Grano arso. Particolare lavorazione del grano duro, nata dall’indigenza: nel Tavoliere delle Puglie era raccolto dopo la bruciatura delle stoppie. Oggi si ottiene con tostatura.
- Manitoba. Grano tenero originario del Canada, ha un glutine molto forte. Farina adatta per grandi lievitati come il panettone.
Grani teneri, duri e macinature
- Tipo 00. Farina di grano tenero adatta per biscotteria e torte lievitate, sconsigliata per il pane.
- Tipo O. Meno raffinata, è adatta per focacce soffici e pizze o per “tagliare” farine più difficili Tipo 1. II chicco è macinato intero, ricca di sostanze nutritive è adatta alla preparazione di pane e pizze.
- Tipo 2. È ricca di fibre e germe di grano si usa per torte rustiche salate, ottima per il pane. Integrale (tenero o duro). Mantiene tutte le caratteristiche del grano e si usa per il pane “nero”. Assorbe più acqua di tutte.
- Farina di grano duro. Colore giallo ambrato, è più ricca di proteine e glutine di quella di grano tenero.
- Semola. È la farina di grano duro usata per la pasta (sia secca che fresca), con granulosità maggiore.
- Rimacinato di semola. Con un passaggio di molitura in più, ha granulosità più sottile della semola. Per pizze, focacce e pane.
- Vecchie varietà. Chiamate erroneamente “grani antichi”, si dividono fra varietà locali spontanee, e varietà migliorate. Tra queste, famosa è la Senatore Cappelli.
Fonte: La Repubblica Cibo (a cura di Gianluca Biscalchin)