Il formaggio: un viaggio alimentare insieme all’uomo (II parte)

Articolo della dott.ssa Monica MartinoMonica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari
e Food Blogger.
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Blog: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
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Continuiamo il nostro viaggio nel mondo del formaggio che ha influenzato la nostra alimentazione tanto da arrivare a una produzione di tipo industriale per soddisfare la richiesta sempre più alta di questo alimento buono già da solo, ma molto versatile anche in cucina.

Il formaggio è il risultato delle condizioni naturali, ambientali e storiche di una zona definita, indicato geograficamente nei disciplinari di produzione dei prodotti a denominazione di origine e punta di diamante dell’universo caseario che al giorno d’oggi si deve confrontare sul mercato con prodotti industriali che spesso sono, letteralmente dicendo, “privi di anima”.

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Sono tante le caratteristiche per la definizione di un formaggio cosiddetto tipico e si basano su:

  • offerta della materia prima, il latte, e di conseguenza dalla specie (mucca, pecora, capra, bufala) e dalla razza degli animali allevati, nonché alla loro alimentazione;
  • condizioni ambientali, di raccolta e di trasformazione del latte, le quali fanno sì che tali prodotti abbiano caratteristiche peculiari, che derivano da tecniche tramandate da generazioni, capaci di offrire requisiti di unicità, salubrità e soprattutto naturalità.

Con lo sviluppo della tecnologia, la crescita in numero di caseifici di grandi dimensioni e quindi l’abbandono della trasformazione del latte a livello o locale, sono andati avanti di pari passo il processo di standardizzazione del latte e della tecnica produttiva, il che hanno influito notevolmente sulla qualità dei formaggi.

Oggi il mercato è alla ricerca di un formaggio che renda un valore di servizio, attraverso la valutazione della facilità di acquisto e di consumo, di impiego in cucina e di conservabilità a lungo tempo. Queste logiche hanno fatto sì che si perdesse la consapevolezza di scegliere un prodotto locale e tipico perché più buono; di conseguenza, si è arrivati ad acquistare un prodotto che sicuramente è più garantito dal punto di vista igienico-sanitario ma ha in gran parte perso la sua caratteristica peculiare rispetto a prodotti simili.

Attualmente in Italia sono appena 20 le tipologie di formaggio a fare il mercato nonostante la grande diversità a livello nazionale, mentre le produzioni caratteristiche e tipiche per una commercializzazione nazionale sono disponibili in quantità ridotte oppure sono presenti solo in certe stagioni. Le odierne produzioni industriali sono il frutto studiato dell’alleanza tra risorse tecnologiche ed esigenze di mercato: una serie di tecnologie che ha permesso di abbassare i costi, ridurre la manodopera, uniformare la qualità, controllare al meglio gli aspetti igienico sanitari e, non ultimo, realizzare ottimi affari con prodotti anonimi a discapito del sapore e gusto autentici derivati da una lavorazione artigianale. Se consideriamo poi che anche le piccole produzioni artigianali devono rispondere ai requisiti igienico-sanitari previsti dalla legge, possiamo comprendere come certi sapori sembrino sempre più difficili da ritrovare. Comunque alcuni caseifici industriali, nell’ottica di diversificare la produzione, hanno riscoperto certe specialità e sono riusciti a creare prodotti con caratteristiche organolettiche abbastanza connotate.

Il processo produttivo: prima della caseificazione

Una volta arrivato in caseificio, il latte viene sottoposto a trattamenti di diverso tipo per renderlo adatto alla trasformazione casearia, migliorarne la lavorabilità e mettere in atto un processo tecnologico specifico per il tipo di lavorazione richiesta. Le principali operazioni che vengono eseguite sono:

  • scrematura: è la separazione tra le due fasi liquide della sostanza lattea, ovvero la parte grassa e il latte come lo conosciamo. Le micelle di grasso, specialmente nel latte vaccino, sono poco stabili nel liquido e quindi risalgono affiorando sulla superficie addensandosi, formando la cosiddetta crema di latte. La crema è quindi una porzione di latte arricchita di grasso che si separa per affioramento o attraverso un processo di centrifuga e serve principalmente per la preparazione del burro, ma trova anche altri impieghi nell’industria dolciaria (ad esempio come panna). È costituita per il 25-40% da grassi mentre la proporzione degli altri componenti e praticamente la stessa del latte di partenza. Tornando alle tecniche di scrematura, l’affioramento è un processo fisiologico che avviene nel latte tenuto a riposo, ed è la tecnica attualmente in uso per la preparazione del latte parzialmente scremato da impiegare nella lavorazione dei principali formaggi semigrassi, tra i quali il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano. La centrifugazione invece può essere impiegata anche per altri interventi come la pulizia dalle impurità e la bactofugazione, tecnica impiegata nella produzione industriale per eliminare i batteri sporigeni.
  • omogeneizzazione: consiste nel frazionamento dei globuli di grasso in tanti piccoli che conferiscono al latte caratteristiche tecnologiche diverse. Ha lo scopo di rallentare l’affioramento della sostanza grassa e di stabilizzarla. È una tecnica che si utilizza per il latte alimentare perché ne migliora la digeribilità, per la produzione degli yogurt, dei latti gelificati, delle creme alimentari e del latte in polvere. Quanto al formaggio, il latte omogeneizzato può essere impiegato nella produzione di formaggi a pasta fresca, a coagulazione lenta e a pasta erborinata. L’omogeneizzazione migliora la consistenza e l’untuosità del formaggio, consente una stagionatura più uniforme e limita la risalita del grasso durante la coagulazione. Si tratta comunque di un’applicazione tecnologica propria della produzione industriale.
  • trattamenti termici: consistono nel modificare la temperatura di un alimento per un certo periodo di tempo allo scopo di stabilizzarlo. Tuttavia ogni trattamento termico determina un’alterazione delle proprietà del latte che in misura inequivocabile si ripercuote sul gusto finale del prodotto finito. La pastorizzazione è un trattamento termico sul latte, non inferiore ai 71.7°C, che rende inattivi i germi patogeni eventualmente presenti, assicurando la salubrità del latte migliorandolo nella conservabilità. La produzione di formaggi anche freschi con il latte crudo è consentita purché vengano rispettati i requisiti microbiologici analitici previsti dal Regolamento 853/2004: il latte deve sempre provenire da animali sani e rispettare i vincoli indicati di carica batterica e cellule somatiche prima dell’inizio della lavorazione. Il latte crudo è un latte non sottoposto ad alcun trattamento termico superiore a 40°C ed è caratterizzato dal mantenimento della flora microbica nativa acquisita nell’ambiente, la quale contribuisce alla connotazione organolettica dei formaggi.
  • aggiunta di fermenti lattici: l’arricchimento del latte in fermenti lattici si basa sulla scelta dei fermenti e della tecnica di innesto, in rapporto alle caratteristiche tecnologiche del formaggio da produrre. È un’operazione molto delicata che influenza le caratteristiche finali del formaggio e la riuscita è quindi legata allo sviluppo di una flora microbica adatta, destinata allo svolgimento della maturazione della cagliata. Il latte da coagulare deve essere sufficientemente acido perché l’acidità influenza in modo determinante la velocità di coagulazione e la struttura della cagliata. Il latte pastorizzato, per esempio, necessità di un’integrazione ex novo della flora microbica lattica, poiché la precedente è stata eliminata attraverso il trattamento termico. Si utilizzano fermenti lattici selezionati che, opportunamente coltivati e preparati in caseificio, sono aggiunti al latte prima della coagulazione.
  • aggiunta di fermenti fungini: le muffe hanno un ruolo essenziale nella produzione di alcuni formaggi, esercitando un’attività diretta sull’aspetto finale nello sviluppo dell’aroma: vengono commercializzate in forma liofilizzata, liquida, si aggiungono direttamente nel latte oppure si polverizzano le spore fungine sul formaggio prima della stagionatura. Ogni muffa presenta condizioni ideali di sviluppo in base alle temperature e comunque tutte le muffe prediligono ambienti acidi.
Il processo produttivo: la coagulazione

La coagulazione delle proteine ​​è alla base del processo di trasformazione del latte in formaggio ed è da considerarsi come un metodo di conservazione: grazie ad essa è infatti possibile separare proteine e grasso dalla frazione acquosa e operare una concentrazione delle sostanze nobili contenute nel latte, evitando il possibile irrancidimento. In questa fase di importanza fondamentale, per l’azione di numerosi fattori come acidità, temperatura, sali minerali presenti nel latte e aggiunta di caglio, si ha la precipitazione delle caseine, la formazione della cagliata e la separazione del siero. La coagulazione acida è causata da fermenti lattici che fanno parte della flora microbica nativa o che sono stati aggiunti con innesto o fermento. La tecnica viene impiegata per la produzione dei latti fermentati come lo yogurt, di molti formaggi vaccini freschi e soprattutto dei caprini. Il latte di capra possiede infatti un’ottima attitudine a questo processo, anche perché durante la stagionatura i formaggi non acquisiscono note gustative amare, riscontrabili invece in quelli vaccini ottenuti con lo stesso procedimento. La coagulazione presamica invece avviene con l’aggiunta di caglio ed è caratteristica nella produzione della maggior parte dei formaggi. Il coagulo ottenuto con questa tecnica è più consistente di quello ottenuto attraverso la coagulazione acida, è molto ricco in calcio e separa nettamente il siero. Il minor contenuto in acqua della cagliata non consente un forte sviluppo della flora lattica e il formaggio sarà alla fine più dolce, presentando una notevole attitudine alla maturazione che risulterà più lenta.

Possono essere impiegate anche le coagulazioni miste, dove la coagulazione presamica interagisce con i processi fermentativi legati all’acidificazione del latte: il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, per esempio, possono essere considerati formaggi ottenuti per coagulazione mista in quanto l’azione combinata del caglio e dell’innesto di fermenti lattici sono pienamente sfruttate.

La coagulazione si considera conclusa quando immergendo le dita nella cagliata, questa si rompe con una fenditura netta. I casari valutano con le mani lo stato del coagulo in quanto l’esperienza dell’artigiano non è sostituibile con nessuna macchina industriale.

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Il processo produttivo: spurgo del siero e rottura della cagliata

La sineresi è quell’insieme dei fenomeni che provocano l’espulsione del siero della cagliata. Il siero è un sottoprodotto liquido dell’Industria casearia contenente sieroproteine e sali minerali. Viene riutilizzato in parte in caseificio per la preparazione soprattutto della ricotta, trova anche applicazione nell’industria dolciaria e in zootecnia per l’alimentazione dei suini. L’espulsione del siero è più facile nel coagulo presamico mentre è più limitata nei coaguli acidi in quanto la cagliata è meno elastica. Nella cagliata presamica, le azioni meccaniche sono indispensabili perché Il coagulo non permette la spontanea eliminazione del siero. Nella cagliata lattica lo spurgo è da considerarsi invece un fenomeno passivo che non richiede o richiede in maniera limitata azioni meccaniche. La sineresi è influenzata da numerosi fattori: tipo di latte, temperatura, pH, eventuali trattamenti termici subiti dal latte e presenza di sali minerali ma soprattutto dal tipo di rottura della cagliata. Si tratta del primo è più importante Intervento che il casaro compie su formaggio: da questo momento è l’uomo il vero artefice, scegliendo gli interventi più opportuni che porteranno al prodotto finale.

La cagliata deve essere inizialmente rotta grossolanamente e solo in seguito, con il ripetersi di questa operazione, si ottengono le dimensioni dei granuli volute. Questo permette l’aumento della superficie di spurgo e si riduce il percorso di uscita del siero dal coagulo: è una fase delicata che richiede particolare attenzione: se viene effettuata troppo presto la rottura produce scarti e perdita di grasso, mentre se viene fatta troppo tardi diventa più difficile a causa del coagulo molto consistente. Per rompere la cagliata si immergono nella massa coagulata attrezzi particolari detti rompi-cagliata di varia forma e a seconda del grado di sminuzzamento che si vuole ottenere. Poiché subito dopo la rottura comincia il processo di acidificazione della cagliata a opera dei fermenti lattici, il controllo dell’acidificazione è importante anche nelle cagliate presamiche e miste.  Si effettua misurando a intervalli di tempo regolari l’acidità del siero oppure il pH del formaggio: si costruiscono così le curve di acidificazione che rappresentano la velocità con la quale formaggio raggiunge pH desiderato, in genere intorno a 5.  Alla fine dell’operazione di rottura della cagliata si effettua l’agitazione che ha lo scopo di omogeneizzare l’insieme costituito da cagliata e siero e di facilitare ulteriormente la sineresi, e quindi lo spurgo, mantenendo i granuli separati. Tale operazione può essere manuale o meccanica.

Un trattamento complementare che migliora la sineresi e rende la cagliata molto elastica ed è praticato soprattutto nelle tecniche di produzione dei formaggi a pasta dura, è la cottura della cagliata. Tale procedimento ha un duplice scopo, ovvero accentuare lo spurgo del siero e selezionare la flora batterica dato che i microrganismi termosensibili vengono distrutti dalla cottura. In funzione della cottura della relativa temperatura possiamo distinguere:

  • formaggi a pasta cruda: non è prevista la cottura della cagliata dopo la rottura e di solito, dopo l’estrazione del siero, è necessaria la pressatura;
  • formaggi a pasta semicotta: dopo la frantumazione del coagulo, si porta a una temperatura tra 44- 48°C e il trattamento si applica a cagliate rotte abbastanza grossolanamente, in modo da ottenere formaggi dalla struttura compatta ma non eccessivamente dura;
  • formaggio a pasta cotta: la cottura vera e propria consiste nel portare i grumi di cagliata, rotti finemente, a temperature comprese tra 52 e 56°C; in questo modo lo spurgo è molto facilitato e consente l’aggregazione dei granuli caseosi che daranno luogo in seguito a una pasta compatta. Il riscaldamento della cagliata deve essere graduale e poi completato rapidamente mantenendo la massa in agitazione. Il tempo di cottura varia a seconda della tecnologia adottata il casaro sospende la cottura quando giudica rispondenti le caratteristiche di opacità di plasticità raggiunte dalla cagliata.
Il processo produttivo: estrazione e messa in forma

Nell’arco di mezz’ora dalla coagulazione o dall’eventuale successiva cottura, la cagliata viene separata dal siero (estrazione della cagliata). Le tecniche di separazione sono molteplici in base alla tipologia di formaggi da produrre e dal grado di meccanizzazione della lavorazione. Una volta estratta, la cagliata subisce la cosiddetta formatura, dove completa lo spurgo in appositi stampi dette fascere, che possono essere di materiali diversi, e acquisisce una forma. La formatura viene effettuata su particolari tavoli inclinati, detti tavoli spersori, dai quali scola il siero che fuoriesce man mano che la forma si riempie. Dal punto di vista tecnologico è importante ricordare che nei formaggi a pasta cotta o semicotta gran parte dello spurgo avviene in caldaia, mentre per i formaggi a pasta cruda la parte di spurgo successiva la messa in forma riveste invece una certa importanza nel ciclo di trasformazione. I fattori che influenzano lo spurgo in fascera sono: lo stato dell’acidificazione, il posizionamento del formaggio rispetto alle fonti di calore, la temperatura della camera di spurgo e il numero di rivoltamenti delle forme. Questi ultimi sono importanti perché consentono una buona distribuzione dell’acqua e del siero nella cagliata evitando sia l’essiccamento da una parte e l’eccesso di umidità dall’altra.

Il processo produttivo: pressatura e stufatura

La pressatura è una tecnica prevista per alcune produzioni casearie che, dopo una messa in forma, necessitano di una pressione per completare lo spurgo del siero. È indispensabile se si lavorano formaggi a pasta dura o semidura non cotti, e anche in quelli a pasta semicotta. Favorisce, oltre allo spurgo, anche a dare al formaggio una struttura compatta, completando così il legame tra i granuli di cagliata. Viene ottenuta apponendo sul formaggio dei pesi oppure con torchi a leva o idraulici. Tra una fase di pressatura e l’altra è necessario rivoltare le forme e cambiare le tele.

Molte tipologie di formaggi a pasta morbida ed elastica richiedono nella primissima fase della maturazione un rapido sviluppo della flora acido-proteolitica e quindi, subito dopo la messa in forma della cagliata, si effettua la stufatura ponendo le forme fresche in una camera mantenuta umida alla temperatura di 24-28°C costanti per un periodo variabile fra le 2 e le 12 ore, con frequenti ribaltamenti delle forme ed eventualmente versando siero sui formaggi con tendenza a fessurarsi. In questa fase si completano la sineresi e l’acidificazione e comincia la proteolisi che porta la cremificazione del formaggio. La tecnica di lavorazione di queste produzioni casearie è tipica dei formaggi della pianura Lombarda.

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Il processo produttiva: la filatura

La filatura è una tecnica tradizionale originaria dell’Italia, dove si è affinata una tecnologia che nel tempo si è imposta livello internazionale. Appartengono a questa tipologia i formaggi molli e freschi come le mozzarelle, le scamorze, le burrate, alcune provole, ma anche formaggi semi duri freschi o stagionati come i caciocavalli, formaggi duri a media o lunga stagionatura come i provoloni. La tecnica passa attraverso due momenti successivi: la caseificazione vera e propria e la filatura. Prima si procede con l’acidificazione del latte, processo che provoca una parziale demineralizzazione del coagulo e lo rende maggiormente adatto alla successiva filatura. In seguito si procede alla coagulazione mediante innesto del caglio animale. Nella produzione artigianale tipica si usa caglio in pasta di capretto o di agnello, altrove invece viene impiegato il caglio industriale che garantisce un prodotto standardizzato. Seguono poi la rottura della cagliata e l’eventuale cottura. A questo punto la cagliata viene lasciata riposare sul fondo della caldaia alla presenza del suo siero per un tempo e una temperatura calcolati in base alla tipologia di formaggio che si vuole ottenere (maturazione): in questa fase, la cagliata si predispone totalmente alla filatura che avverrà subito dopo, quando la pasta viene infilata in acqua calda a 70-90°C. Terminata la filatura della pasta, si passa alla sua formatura, dove la massa calda immersa nell’acqua viene divisa in pezzi manualmente e manipolata con molta attenzione fino a ottenere la forma voluta.

Il processo produttivo: la salatura

Da sempre il sale è considerato un ottimo conservante degli alimenti, grazie alla sua capacità di inibire la crescita microbica. L’aggiunta di sale al formaggio dipende dalla quantità di pasta ottenuta, dal tipo di pasta, dalla fase di conservazione ed è dunque un passaggio importante in quanto l’azione di questo componente può condizionare diversi aspetti della produzione stessa. Gli scopi della saldatura sono molteplici:

  • modifica del gusto;
  • completamento dello spurgo del siero;
  • formazione della crosta e differenziazione;
  • selezione dei microrganismi;
  • rallentamento delle reazioni enzimatiche inerenti lo sviluppo dell’acidità;
  • solubilizzazione delle proteine.

Diverse sono le tecniche di salatura:

  • a secco: si cosparge il sale mediante sfregamento della superficie del formaggio; a contatto con l’umidità del formaggio, il sale si scioglie e penetra all’interno.
  • in salamoia: i formaggi vengono immersi in soluzioni contenenti acqua e sale in diversa concentrazione a seconda della tipologia. Tale tipo di salatura è applicata per molti vantaggi fra cui la facilitazione di dosaggio del sale, le perdite ridotte, la compatibilità della salamoia con molte produzioni e per una facile meccanizzazione del processo. Bisogna comunque mettere in conto l’eventuale presenza di specie batteriche e muffe alofile e per questo è necessario tenere sotto controllo le forme e risanarle periodicamente. Una buona salamoia dura alcuni mesi e se opportunamente curata anche qualche anno.
  • in pasta: con questa tecnica si sala la cagliata spurgata e frantumata in grani piccoli ed è un metodo impiegato per alcuni formaggi a pasta dura per serata di grosse dimensioni, per i quali la penetrazione del sale risulta difficoltosa.
Il processo produttivo: maturazione e stagionatura

La maturazione è un processo molto complesso che avviene al termine della lavorazione casearia e che implica numerose modifiche della pasta. È il risultato di diversi fenomeni chimici e fisici che avvengono a carico della cagliata e che determinano, oltre alla tessitura della pasta e all’aspetto esteriore della forma, sia l’aroma che il gusto complessivo del formaggio. La temperatura e l’umidità dei locali di maturazione devono essere regolate con molta precisione. Dal punto di vista chimico la maturazione del formaggio si sviluppa in quattro processi:

  • trasformazione del lattosio;
  • degradazione della caseina;
  • demolizione dei grassi;
  • formazione della crosta.

La stagionatura è invece la fase finale del processo di produzione del formaggio: il locale in cui si svolge deve possedere le condizioni ambientali che possono favorire i vari processi connessi alla maturazione e la sua scelta è perciò molto importante, tanto più quando il formaggio matura in locali non condizionati come le cantine o le malghe di montagna, nei quali si creano microclimi particolari. La stagionatura può durare pochi giorni per i formaggi freschi o prolungarsi per alcuni anni nei formaggi a pasta dura e durante queste fasi le forme necessitano di continui rivoltamenti per un’ottima resa finale. Molto importante è inoltre la natura delle superfici sulle quali i formaggi stagionano: attualmente la scelta dei materiali viene imposta dalla normativa vigente che prevede l’impiego di superfici lavabili; tranne che per le DOP (per cui sono previste delle deroghe), non è consentito l’utilizzo di piani in legno anche se è dimostrato che questo materiale è l’ideale per una corretta stagionatura, in particolare per le produzioni artigianali di montagna. Nei grandi caseifici, ci sono locali diversi per lo stoccaggio dei formaggi dopo la lavorazione:

  • la camera di asciugatura, dove il formaggio sosta in tempo breve;
  • la cella di stagionatura, dove si sviluppa la flora di maturazione (temperatura, umidità, ventilazione e luce variano a seconda del tipo di formaggio);
  • la camera fredda, utilizzata per i formaggi confezionati imballati e pronti per la spedizione, dove le temperature sono in genere basse.

Il controllo dei parametri ambientali di stagionatura è importante quanto una serie di cure manuali come il periodico rivoltamento in quanto favoriscono una formatura uniforme su entrambe le facce, oltre ad areare il formaggio e impedire la proliferazione di microrganismi sui ripiani di stagionatura. Alcuni formaggi necessitano di spazzolatura costante e oliatura, altri invece hanno bisogno di lavaggi della crosta con panni imbevuti di acqua e sale, altri ancora l’affumicamento etc.

Il formaggio, quindi, è da considerare un organismo vivo in continua evoluzione, che richiede un controllo costante del  suo stato di conservazione affinché giunga sulla tavola dei consumatori con i requisiti ideali per l’assaggio.

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Bibliografia:

ALMA. La scienza degli alimenti. PLAN, Milano 2013
Bini D. Il formaggio. Sagep, Genova 2003
Cappelli P, Vannucchi V. Principi di chimica degli alimenti. Conservazione, trasformazioni, normativa. Zanichelli, Bologna 2016
Ministero Agricoltura e Foreste. L’Italia dei formaggi DOC. Un grande patrimonio. FrancoAngeli, Milano 1992
Sicheri G. Latte, yogurt, burro, formaggio: produzione, valore alimentare, degustazione. Hoepli, Milano 1998
Slow Food. Il gusto del formaggio. Conoscere le forme del latte. Slow Food Editore, Bra 2012