Cibo e musica. Il caso del jazz

Oggi è la Giornata mondiale del Jazz. E vi domanderete cosa centri il jazz con il cibo!

Appena si pensa al jazz, la nostra mente ci rimanda alle bettole di New Orleans, al suono che quasi si respirava tra una spezia e l’altra, ma pochi sanno che il cibo ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poetica jazzistica.

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I primi jazzisti avevano fra le loro più scatenate fan le donne di strada, che spesso si trasformavano in ottime cuoche, rifocillando i musicisti fra un concerto e l’altro. Gli spettacoli nelle ballroom, o nelle più piccole barrelhouse, offrivano nel “pacchetto-serata” rifocillamenti tipici della cucina creola. Leroy Jenkins ricorda che Gumbo Suppers, Fish Fries, Egg Nog Parties (titoli di celebri boogies dell’epoca) avevano lo scopo di permettere l’accesso gratuito ai party, dove i pianisti venivano trattati con tutti gli onori e rifocillati abbondantemente.

Le peculiarità gastronomiche della culla del jazz erano la trippa, le frattaglie, i cavoli rossi, i fagioli rossi con riso, (Fletcher Henderson ha anche scritto un brano in onore di questo piatto), giunturecodezamponitestina di maiale. Insomma, tutti cibi del sud. Ma New Orleans era anche un grandissimo porto e di certo non potevano mancare la zuppa e il pesce fritto.

Il rapporto cibo-jazz è stato anche oggetto di studi scientifici. Una ricerca condotta da Brian Wansink e Koert Van Ittersum mostra come basti cambiare l’ambiente in cui si mangia per ridurre l’assunzione di calorie. In un ambiente curato, silenzioso, con la musica adatta in sottofondo (che non a caso è quasi sempre il jazz), le persone sono portate a mangiare più lentamente e in quantità minore. I due ricercatori hanno rilevato che, di contro, nei fast food della catena Hardee’s a Champaign, Illinois (scelta come location per le loro teorie), si ingeriva molto più cibo e in modo caotico.

Perfino il comfort food cambia agli occhi di chi lo mangia se c’è un particolare tipo di musica ad accompagnarlo.

jazz-1209352_1920Uno studio effettuato all’Università dell’Arkansas negli Stati Uniti, ha evidenziato come la musica in sottofondo sia in grado di alterare il gusto di un alimento a seconda del genere che si sta ascoltando. Per effettuare un’indagine sono stati presi 99 volontari che venivano sottoposti all’assunzione di alimenti associati a determinate emozioni e di altri che non suscitano emozioni. Mentre i volontari mangiavano, vi era un sottofondo musicale che poteva essere di genere diverso, come jazz, hip-hop e rock. I risultati hanno mostrato che, generalmente, il jazz esalta il gusto del cioccolato, ma non ha lo stesso effetto ad esempio sui peperoni. Tra le altre cose, infatti, dimostrava che ascoltare musica francese o tedesca in un’enoteca induceva i clienti a comprare del vino proveniente da Francia o Germania.

Uno studio del 2008, condotto da Nanette Stroebele e John M. De Castro del Dipartimento di Psicologia dell’Università Statale della Georgia, ha studiato l’influenza della musica sulla quantità di cibo che si assume.

Ascoltando un determinato tipo di musica cambia la durata del pasto. Se in sottofondo c’è Fabrizio Bosso, consumerete il vostro piatto di spaghetti più lentamente, se invece dovessero esserci i Metallica di sicuro avreste una masticazione più rapida. L’esperimento è stato condotto su 78 studenti del college e si è rivelato utile per trovare nuovi spunti per combattere l’obesità, anche se necessita di ulteriori sviluppi.
Lo psicologo comportamentale Charles Spence, ha, invece, studiato il rapporto inconscio che c’è tra cibo e musica, stabilendo che il pop si abbina molto bene con i cibi etnici, mentre la musica classica fa venire voglia di pasta.

E il jazz? Sta benissimo con il sushi, in più richiede un abbinamento attento con il vino.

Inoltre, si abbinano al jazz anche i sapori contrastanti, dolce-salato, o i giochi di consistenze, come l’abbinamento carne-frutta.

Al netto della veridicità dei tanti studi riproposti, direi che a noi il jazz piaccia comunque e in tutte le salse!